martedì 23 giugno 2009

IMPRESAMIA.IT-LAVORO - Censis: sì a piccola impresa, terziario rischio


Il 20% degli occupati non sono né dipendenti, né completamente autonomi
L'economia italiana poggia sulla grande capacità di tenuta dei piccoli e piccolissimi imprenditori. Sono 4,3 milioni gli imprenditori alla guida di piccole e piccolissime realtà imprenditoriali che non superano la soglia dei 20 addetti, occupano 9,8 milioni di lavoratori e generano un valore aggiunto di 303 miliardi di euro. Garantiscono quindi il 57,6% dell’occupazione nelle imprese manifatturiere e dei servizi, il 44,8% del valore aggiunto prodotto, il 39,2% degli investimenti realizzati. Tra il primo bimestre del 2007 e quello del 2009, a fronte di una contrazione complessiva del 22,5% del volume delle esportazioni italiane, hanno retto meglio le piccolissime imprese (1-9 addetti: -9,5%) e quelle con 10-49 addetti (-13,5%). Tra il primo bimestre del 2008 e quello del 2009 solo il 28,8% delle aziende italiane ha registrato un bilancio positivo sul fronte dell’export, nonostante la cattiva congiuntura, ma tra le piccolissime imprese (con meno di 10 addetti) la quota sale al 33,6% e in quelle con 10-49 addetti al 30,1%. Preoccupa il settore terziario che produce sempre meno occupazione con un numero dei nuovi posti di lavoro creati nel comparto dei servizi è passato da 1 milione 400 mila nel quinquennio 1998-2003 a 735 mila nel quinquennio 2003-2008, riducendosi della metà. Il composito mondo delle attività di servizio alle imprese, della consulenza, della comunicazione, del marketing, da sempre motore di sviluppo del comparto, ha registrato una battuta d’arresto, riducendo di circa un terzo il numero dei nuovi occupati (da 415 mila nel periodo 1998-2003 a 265 mila nel periodo 2003-2008). Nelle attività di servizio avanzato alle imprese la quota dei lavoratori a rischio (a progetto, temporanei, a partita Iva) rappresenta ormai il 22,8% dell’occupazione, il 24,7% nel terziario sociale, il 22,2% nel commercio. Tra le professioni più a rischio ci sono: gli operatori dell’industria dello spettacolo (macchinisti, attrezzisti di scena), tra cui l’incidenza dei lavoratori precari è addirittura dell’85%; istruttori, allenatori, atleti (63,1%); registi, direttori artistici, coreografi, pittori, restauratori (48,5%); ricercatori (45,5%); agenti immobiliari e rappresentanti commerciali (39,5%); annunciatori e presentatori radio e tv, tecnici della produzione televisiva e del mondo della comunicazione (37,8%).Mentre sono 4 milioni 628mila i lavoratori che non sono né dipendenti, né completamente autonomi, ovvero il 20% dell’occupazione complessiva del Paese. Si tratta di un universo costituito da figure professionali estremamente diverse, accomunate dalla condizione di instabilità. Vi rientrano infatti: 2 milioni 323 mila lavoratori dipendenti con contratti a termine (pari al 9,9% degli occupati), tra cui apprendisti e interinali; 370 mila collaboratori a progetto (l’1,6% dell’occupazione); 828 mila partite Iva (il 3,5% dell’occupazione), ovvero consulenti che lavorano per un solo cliente; circa 900 mila semi-professionisti (il 4,3% dell’occupazione), vale a dire autonomi che, pur avendo più di un committente, sono tenuti a rispettare vincoli di orario e di presenza imposti dai clienti presso cui lavorano; 95 mila collaboratori occasionali che lavorano a intermittenza, solo quando si creano opportunità. Nell’anno della crisi, il 2008, il settore del paralavoro ha pagato un prezzo concreto, registrando una perdita netta di 136 mila unità (-2,9%), mentre il lavoro tradizionale, autonomo e dipendente, sostanzialmente teneva. A subire il ridimensionamento più drastico sono stati i lavoratori a partita Iva monocommittenti: quasi 243 mila unità in meno nell’ultimo anno (-22,7%).Inoltre, tra il 2001 e il 2008 il numero di colf e badanti è aumentato da 1 milione 83 mila a 1 milione 484 mila, registrando una crescita del 37%. Dal 2003 al 2007 il numero di famiglie che hanno fatto ricorso a un collaboratore domestico è passato da 1 milione 929 mila a 2 milioni 451 mila (+27%), portando dall’8,7% al 10% la percentuale di famiglie italiane che si avvalgono di questi servizi.(Tratto da "La società solida degli invisibili", un testo elaborato nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione del Censis)

Nessun commento: